La paura paralizza, toglie il fiato, tira fuori il peggio di noi.
Ci mette di fronte alle nostre miserie, agli egoismi, ai foruncoli sul nostro culo.
Ci fa diventare cattivi e diffidenti.
Pensa alla paura che attanaglia quando temi di perdere le persone che ami; quante volte ti sarai sentito pronunciare parole violente, in difesa dei figli e dei nostri grandi amori? “Se qualcuno gli torce un capello io lo ammazzo.”
Anche se tremi di fronte ad una mosca.
La paura ha le sue vie d’uscita: l’egoismo e l’apertura.
Di fronte alla paura infatti è più facile chiudersi in se stessi, proteggere tutto quello che ci è caro, rintanarsi nel bunker dell’io, includendo al massimo pochi e sceltissimi cari.
Questi tempi bui dovrebbero invece farci riflettere su quanto chi ha il potere nelle mani, giochi su questi egoismi meschini, sul metterci l’uno contro l’altro, sul farci guardare con sospetto il prossimo, che l’altro ieri era l’ebreo, ieri era il migrante, poche ore fa era il cinese e oggi siamo noi.
Non sappiamo più di chi fidarci, quali sguardi incrociare, ché magari basta uno sguardo per finire contagiati…
E invece dovremmo farci contagiare dall’altro, dall’apertura, dalla solidarietà.
Dovremmo in questi momenti comprendere che solo la collettività, unita, condivisa, collaborante, è l’antidoto al virus dell’isteria e dell’ignoranza abissale.
Che nessuno si salva da solo.
Che dovremmo riappropriarci tutti del nostro tempo e di una felicità smodata che ci faccia fuggire a gambe levate la paura.
E preferiamo invece vivere guardinghi, curvi sul nostro ombelico, tenendo strette le nostre meschinità e le nostre esistenze vacue, invece di arricchirle di amore e di presenza.
Il teatrino nauseante che da troppi giorni sta andando in scena prima nel mondo, avvicinandosi poi sempre più pericolosamente al nostro orticello, sta tirando fuori il peggio dell’umanità.
Saramago in Cecità scrive: “Eravamo già ciechi nel momento in cui lo siamo diventati, la paura ci ha accecato, la paura ci manterrà ciechi.”
Questo ci sta succedendo, e non dovremmo permettere a nessuno di strumentalizzare così le nostre paure.
Qualcuno un giorno mi ha detto che mostrare le proprie paure è sempre un errore, che si regala uno strumento che prima o poi verrà usato contro di noi, che le nostre paure dovrebbero invece essere custodite con cura in noi stessi, o decidere se prenderci il rischio di darle in dote a chi ci ama.
E invece noialtri, decidiamo di sbandierarle così, insieme alle nostre miserie, ad uso e consumo dello sciacallo di turno.
Svuotiamo i supermercati fottendocene delle difficoltà di anziani che magari non possono fare spesoni da terza guerra mondiale; saccheggiamo le farmacie delle mascherine fregandocene di privare di questo ausilio il personale sanitario, il più a rischio di contagio in questo momento.
E potrei andare avanti per ore.
Siamo in preda all’isteria collettiva, invece di abbracciarci stretti ci spingiamo via con la cattiveria disperata di chi non sa più distinguere il bene dal male, il nemico dall’amico.
Quando l’unica cosa sensata da fare sarebbe fermarci un istante e guardarci in faccia, uno per uno, per capire che si è sempre il coronavirus di qualcuno (cit.)